La storia dei comunisti italiani è soprattutto una storia di persone. Anche di luoghi e di racconti.
Per me, per primo viene il balcone di casa di mio zio, nella piazza del paese da cui si facevano i comizi della campagna elettorale. Per primi vengono i suoi racconti sul come girava per le campagne per spiegare ai contadini analfabeti come votare per il Fronte Popolare; dello scandalo di professarsi comunisti da parte di mio padre e dei miei zii e dell’essere messi all’indice negli anni 50/60 in un paesino del sud senza futuro e senza speranza. E’ li che faccio la prima tessera della FGCI a 16 anni: mettendo l’insegna con la falce e il martello e fondando insieme ad altri ragazzi entusiasti la sezione del PCI. Scandalo.
Poi l’anno dopo il rinnovo a Roma a Via Tarquinio Vipera. Un turbinio di passioni e di fame di conoscenza, di incontri e di ascolti. La scuola, i cortei, l’avanzata della sinistra, le giunte rosse, Petroselli. Periodo esaltante ma anche brutale. La violenza fascista era un pericolo costante con aggressioni e pestaggi. A Monteverde c’era la sezione del MSI di Alibrandi e dei fratelli Fioravanti.
A Donna Olimpia, nei lotti al 30, c’era la sede del Movimento. Nel ‘74 c’era stato il famoso comizio di Rauti in piazza San Giovanni di Dio con scontri violenti e con i fascisti che sfilarono per il quartiere.
Nel ‘77, a ottobre, i fascisti assaltano il negozio dei miei, dopo mesi di intimidazione fisiche e telefoniche.
Un anno dopo Paolo Lanari viene colpito da un colpo di pistola alla nuca fuori dalla sezione dopo una nostra riunione. Un grande corteo antifascista attraversò il quartiere con un comizio finale di Goffredo Bettini, allora segretario della federazione giovanile di Roma. E poi le bombe nel quartiere al negozio di uno dei testimoni principali del processo di Bologna, come racconta Giovanni Bianconi nel suo libro “A mano armata”.
A scuola entravo senza aderire allo sciopero per il 6 politico e mi gridavano.” figiciotto – futuro poliziotto”.
Non era facile in quegli anni; neanche dopo, con il riflusso degli anni ‘80. Molti della mia generazione persi nell’eroina o in cerca di una sistemazione personale: ché ormai la rivoluzione era svanita.
Ma noi avevamo il PCI, avevamo letto Gramsci, ci eravamo arrovellati nelle discussioni al Comitato centrale tra Ingrao e Amendola, c’era Berlinguer.
E poi quei luoghi magici che erano le sezioni, con persone fantastiche che centellinavano ogni spesa quando si montava la Festa de L’unità a Largo Ravizza. Lo stigma per chi sperperava o aveva derive personalistiche: e il lavoro, tanto lavoro volontario. Sempre.
Ho mille facce nella mente e nel cuore soprattutto dei compagni che non ci sono più e che credo dovremmo ricordare presto, appena possibile. A loro dedico questo ricordo per il centenario della più straordinaria esperienza politica e umana della storia d’Italia che è stato il Partito Comunista Italiano.
(B.G.)
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